Ing. Giampaolo Beretta
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LA CORROSIONE NELL’ACCIAIO CORTEN

30 Settembre 2018/in STRUTTURE

Ben ritrovati! Nell’articolo di oggi esporrò i risultati di un semplice “esperimento” che ho condotto su una lastra di acciaio corten per determinarne la tendenza all’ossidazione. Non si tratta di nulla di particolarmente complesso ed i risultati che ho ottenuto sono stati una conferma di quanto avevo già appreso sul lato teorico.

Prima di tutto inquadriamo di che materiale stiamo parlando.

L’acciaio corten è stato brevettato negli U.S.A. nel 1933 dalla United States Steel Corporation e le sue caratteristiche principali, per le quali se ne fa largo uso tutt’oggi, sono l’elevata resistenza alla corrosione (corrosion resistance=cor) e l’elevata resistenza meccanica (tensile strenght=ten), il tutto abbinato ad una gradevole colorazione bruna assunta dai suoi ossidi che gli conferiscono una buona qualità estetica.

La resistenza alla corrosione di questo tipo di acciaio è dovuta proprio alla formazione di tali ossidi i quali, creando una patina uniforme aderente al substrato, rallentano il progredire della corrosione. Questo fenomeno è detto autopassivazione. Il processo di formazione dello strato di ruggine, tuttavia, necessita di ben precise condizioni atmosferiche: esposizione all’aria, alternanza di cicli di bagnato e asciutto, assenza di ristagni d’acqua o di contatto permanente col terreno o con la vegetazione. Se non sussistono queste condizioni, il film protettivo non si forma ed il materiale si comporta come un normale acciaio al carbonio, corrodendosi.

Per quanto riguarda la resistenza, si tratta di un acciaio da carpenteria con resistenze allo snervamento comprese tra 235 MPa e 355 MPa e la norma UNI EN 10025-5 lo designa con la lettera W (resistenza migliorata alla corrosione atmosferica).

Veniamo ora al semplice esperimento che ho condotto e nel seguito vi spiegherò perché lo ho condotto.

Da un carpentiere mi sono fatto ritagliare una lastra di acciaio corten di dimensioni 30×4 cm, all’incirca, spessa 5 mm. Successivamente un lato della lastra lo ho smerigliato togliendo lo strato di calamina (ossido nero che si forma sulla superficie dei prodotti siderurgici durante le lavorazioni a caldo), mentre l’altro lato lo ho lasciato intatto.

CORTEN

Lato smerigliato.

CORTEN

Lato con calamina.

Il 18 novembre 2017 ho infisso la lastra nella terra vegetale lasciandola sporgere per metà lunghezza. In questo modo le due superfici della lastra (con calamina e senza calamina) presentavano due tipi di esposizione diverse  (a contatto col terreno ed a contatto con l’aria) dando origine a quattro zone:

1 – Smerigliata, a contatto col terreno.

2 – Smerigliata, esposta all’aria.

3– Con calamina, a contatto col terreno.

4 – Con calamina, esposta all’aria.

Fino al 28 settembre 2018, il terreno con la lastra infissa sono rimasti all’aperto, esposti agli agenti atmosferici. Dopo oltre 10 mesi, quindi, ho estratto la lastra e l’avanzamento della corrosione nelle quattro zone è visibile nelle seguenti foto.

CORTEN

Stato finale della superficie smerigliata.

CORTEN

Stato finale della superficie con calamina.

CORTEN

Superficie smerigliata a contatto col terreno.

CORTEN

Superficie smerigliata esposta all’aria.

CORTEN

Superficie con calamina a contatto col terreno.

CORTEN

Superficie con calamina a contatto con l’aria.

Come si può notare, la calamina ha rallentato la formazione degli ossidi in quanto la superficie smerigliata presenta un’ossidazione maggiore. Inoltre, l’ossidazione è più uniforme sulla superficie smerigliata. La differenza fondamentale, tuttavia, la si può riscontrare tra la parte esposta all’aria e quella interrata. La parte esposta all’aria presenta uno strato di ruggine sottile, mentre la parte interrata presenta uno strato di ossido spesso e poroso.

Per valutare lo spessore dello strato di ruggine, ho levigato le superfici utilizzando della carta vetrata con grana 180 ed il risultato è quello rappresentato nelle foto seguenti.

CORTEN

Superficie smerigliata e levigata.

CORTEN

Superficie con calamina levigata.

CORTEN

Superficie smerigliata a contatto col terreno e poi levigata.

CORTEN

Superficie smerigliata esposta all’aria e poi levigata.

CORTEN

Superficie con calamina a contatto col terreno e poi levigata.

CORTEN

Superficie con calamina esposta all’aria e poi levigata.

Come si può notare, le superficie che erano esposte all’aria sono tornate lisce e lo strato di ossido è stato completamente rimosso. Nelle medesime condizioni, la patina protettiva è pronta a riformarsi. Le superfici che erano a contatto col terreno, invece, hanno assunto un aspetto butterato, sintomo che l’ossidazione ha intaccato uno spessore maggiore. Per rimuovere completamente la ruggine sarebbe ora necessario smerigliare le superfici.

Questo semplice esperimento conferma quanto esposto nelle premesse: la formazione dello strato di ruggine protettivo avviene solo dove la superficie è esposta all’aria e soggetta ai cicli di bagnatura ed asciugatura. Dove ciò non accade, l’acciaio si corrode come un normale acciaio al carbonio. Inoltre, la patina protettiva protegge gli strati sottostanti e, una volta rimossa, la superficie dell’acciaio torna ad essere uniforme come in origine.

Infine, voglio spiegarvi perché ho voluto condurre questo semplice esperimento.

Un paio di anni fa fui contattato da una persona che aveva l’esigenza di realizzare una struttura in acciaio nei pressi di uno specchio d’acqua che subiva delle escursioni di livello importanti nel corso dell’anno. Esisteva già una bozza del progetto ed una valutazione dei costi che però si erano rivelati troppo alti, tanto da costringere il committente ad abbandonare il progetto. Il 48% dell’importo dei lavori era destinato alla carpenteria metallica in acciaio corten. Furono valutate delle soluzioni alternative, ma alla fine nessuna avrebbe dato le garanzie di resistenza e durabilità che erano richieste. Si creò una situazione di stallo. Siccome io ero già intervenuto in una zona vicina realizzando una struttura in acciaio parzialmente immersa, fui interpellato e proposi di utilizzare l’acciaio zincato. Visto il pH basico dell’acqua risultante da delle analisi chimiche che avevo a disposizione, la struttura avrebbe avuto una durabilità elevata, come richiesto. Mi sentii di sconsigliare l’uso dell’acciaio corten adducendo come giustificazione che la formazione della patina protettiva di ossido necessitava di condizioni al contorno ben precise che ritenevo non essere presenti nella zona dove erano previsti i lavori. In particolare, la presenza di vegetazione, la mancanza dell’esposizione al sole di una gran parte delle strutture e la loro immersioni in acqua per vari mesi all’anno, ponevano grossi dubbi riguardo l’autopassivazione dell’acciaio. Inoltre, l’acciaio zincato avrebbe permesso di rientrare nel budget previsto dal committente.

Per curiosità, decisi allora di fare delle prove con una lastra di corten e ne è uscito quanto descritto in precedenza. Mi rimane però un dubbio. La lastra che ho utilizzato nella prova, all’origine, non era ossidata, quindi era plausibile che sulla parte interrata non si sarebbe formata la patina protettiva, mentre sulla parte esposta all’aria si sarebbe formata. Al contrario, come si sarebbe evoluta l’ossidazione se la lastra in origine fosse già stata ricoperta dallo strato di ossido protettivo? Nella fattispecie, immaginiamo di realizzare una struttura in corten già ossidato che venga parzialmente sommersa dal terreno ed immersa in acqua dolce per vari mesi all’anno. La patina di ossido verrebbe dilavata? Quali differenze riscontrerei tra la parte immersa/interrata e quella emersa? Avete esperienze a riguardo? Ho in mente di eseguire anche questa prova, ma vi sarei grato se nel frattempo voleste condividere la vostra esperienza. Datemi un riscontro.

Mi trovate anche su Telegram (https://t.me/giampaoloberetta) dove ho aperto un canale nel quale ti parlo della mia attività e condivido informazioni (https://t.me/inggiampaoloberetta).

Se poi volete leggere gli altri articoli del mio blog è sufficiente che andiate nella pagina dedicata del mio sito.

Un’ultima cosa. Ringrazio il sig. Graziano Garribba per la fornitura della lastra. Ecco come trovarlo in internet:

http://garribbaferro.com/it/   

https://www.facebook.com/gfergarribba/

Ciao e grazie!

RIUTILIZZO DI ELEMENTI STRUTTURALI

31 Agosto 2018/in STRUTTURE

Nel settore delle costruzioni si sente parlare sempre più spesso di come deve essere trattata una determinata opera quando giunge alla fine della sua vita. Fino a qualche anno fa si pensava semplicemente che i residui di un edificio sottoposto a risanamento/ristrutturazione o addirittura a demolizione venissero semplicemente smaltiti in discariche autorizzate. Con gli anni si è fatto avanti il concetto di recupero. Molti materiali possono essere recuperati in appositi centri e successivamente reimpiegati, spesso ancora nel settore delle costruzioni. Il recupero, nella maggior parte dei casi, necessita però di un trattamento a livello industriale. Recentemente le normative hanno fatto un ulteriore passo nella direzione del recupero introducendo i cosiddetti Criteri Ambientali Minimi (CAM) con l’entrata in vigore del D.M. 11 ottobre 2017. Tale Decreto, al punto 2.3.7 cita: “I progetti degli interventi di nuova costruzione, inclusi gli interventi di demolizione e ricostruzione devono prevedere un piano per il disassemblaggio e la demolizione selettiva dell’opera a fine vita che permetta il riutilizzo o il riciclo dei materiali, componenti edilizi e degli elementi prefabbricati utilizzati.” Il Decreto è ancora giovane e sicuramente necessita di qualche modifica e integrazione, nonché di un raccordo con le Norme Tecniche sulle Costruzioni attualmente in vigore (D.M. 17 gennaio 2018).  Infatti, mi risulta che le Norme Tecniche trattino la costruzione di edifici nuovi oppure gli interventi sugli edifici esistenti, mentre il riutilizzo di componenti edilizi “di seconda mano” per la costruzione di edifici nuovi o per interventi su edifici esistenti non viene contemplato.

Secondo le Norme Tecniche, i materiali e prodotti per uso strutturale devono essere:

– identificati univocamente a cura del fabbricante;

– qualificati sotto la responsabilità del fabbricante;

– accettati dal Direttore dei lavori mediante acquisizione e verifica della documentazione di identificazione e qualificazione, nonché mediante eventuali prove di accettazione.

Ora mi chiedo come si possa giungere all’identificazione/qualificazione dei componenti edilizi smontati da una struttura per essere riutilizzati nella costruzione di un’altra struttura. Pongo un caso concreto che mi è stato prospettato proprio in questi giorni.

Si tratta di un capannone in acciaio zincato, realizzato vent’anni fa, costituito da dei portali sui quali appoggiano gli arcarecci. Il tutto controventato con croci di S. Andrea in falda e sulla facce laterali. I portali sono costituiti da quattro elementi bullonati tra loro così come i controventi e gli arcarecci sono tutti fissati tramite bulloni. La struttura è stata accuratamente smontata e depositata nella futura zona di edificazione. Sulla base di quanto riportato sopra, mi sorgono molti dubbi riguardo la possibilità di riutilizzo di tali componenti strutturali in quanto durante la loro produzione non sono state messe in atto le procedure di controllo obbligatorie previste dalle Norme Tecniche. Il direttore dei lavori, quindi, su quali basi potrebbe accettare la fornitura di componenti edilizi provenienti dallo smontaggio di un’altra struttura? Ritengo necessaria una ricerca documentale per reperire i progetti della struttura donatrice, eventuali prove sui materiali e certificati d’origine; sarà necessario un controllo accurato delle saldature effettuato da un laboratorio specializzato, nonché la sostituzione di tutti i bulloni. Ma fatto ciò, a rigor di norma, si può pensare di accettare la fornitura degli elementi strutturali usati? Inoltre, se la nuova struttura sarà soggetta a sollecitazioni diverse da quella originaria, sarà necessario il calcolo di elementi di rinforzo oppure la sostituzione di quelli sottodimensionati (in questo caso la loro produzione dovrà sicuramente seguire quanto previsto dalle Norme Tecniche).

Voi cosa ne pensate? Datemi un riscontro. Mi trovate anche su Telegram (https://t.me/giampaoloberetta) dove ho aperto un canale nel quale ti parlo della mia attività e condivido informazioni (https://t.me/inggiampaoloberetta).

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CARICHI ACCIDENTALI PER IL PROGETTO DELLE PASSERELLE PEDONALI

29 Agosto 2018/in STRUTTURE

Ai sensi del D.M. 14-01-2008 (Nuove Norme Tecniche per le Costruzioni) e del D.M. 17-01-2018 (Aggiornamento delle Norme Tecniche per le Costruzioni), attualmente in vigore, le passerelle pedonali sono classificate come ponti di terza categoria, pertanto le relative verifiche strutturali devono fare riferimento al capitolo 5 delle Norme.

I carichi da prendere in considerazione sono:

  • Schema di carico 4: è costituito da un carico isolato da 10 KN con impronta quadrata di lato 0,10 m. Si utilizza per verifiche locali su marciapiedi protetti da sicurvia e sulle passerelle pedonali.
  • Schema di carico 5: costituito dalla folla compatta, agente con intensità nominale, comprensiva degli effetti dinamici, di 5 KN/m². Il valore di combinazione è invece di 2,5 KN/m². Il carico folla deve essere applicato su tutte le zone significative della superficie di influenza, inclusa l’area dello spartitraffico centrale, ove rilevante.

In particolare, lo schema di carico 4 risulta essere molto gravoso per il dimensionamento delle strutture secondarie di impalcato. Nel caso di passerelle pedonali in legno, spesso, la criticità riguarda la sollecitazione di taglio sulle tavole del piano di calpestio; per questo motivo, è necessario ricorrere all’uso di tavole con sezioni ragguardevoli oppure utilizzare delle tavole con un profilo di resistenza maggiore. Ho cercato un’alternativa alle tavole di legno spostando la mia attenzione sul legno composito, tuttavia, pur avendo contattato ben sette ditte, non sono ancora riuscito a trovare un prodotto certificato per uso strutturale e che possa resistere alle sollecitazioni indotte dallo schema di carico 4.

Voi avete qualche suggerimento in merito a prodotti in legno composito che possano essere utilizzati per realizzare il piano di calpestio di una passerella pedonale? Se possibile, vorrei poterlo utilizzare senza doverlo sovrapporre ad altri elementi strutturali (soletta in c.a. o grigliato metallico, ad esempio).

Aggiungo una nota personale. Nella mia attività di collaudatore mi è capitato di analizzare progetti di passerelle pedonali che non prendevano in conto lo schema di carico 4 o addirittura gli elementi secondari di impalcato non venivano nemmeno calcolati. Moltissime volte mi capita di transitare su passerelle pedonali dove le tavole che costituiscono il piano di calpestio sono palesemente sottodimensionate. Capita anche a voi? Datemi un riscontro. Mi trovate anche su Telegram (https://t.me/giampaoloberetta) dove ho aperto un canale nel quale ti parlo della mia attività e condivido informazioni (https://t.me/inggiampaoloberetta).

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Buona serata!

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