RIUTILIZZO DI ELEMENTI STRUTTURALI
Nel settore delle costruzioni si sente parlare sempre più spesso di come deve essere trattata una determinata opera quando giunge alla fine della sua vita. Fino a qualche anno fa si pensava semplicemente che i residui di un edificio sottoposto a risanamento/ristrutturazione o addirittura a demolizione venissero semplicemente smaltiti in discariche autorizzate. Con gli anni si è fatto avanti il concetto di recupero. Molti materiali possono essere recuperati in appositi centri e successivamente reimpiegati, spesso ancora nel settore delle costruzioni. Il recupero, nella maggior parte dei casi, necessita però di un trattamento a livello industriale. Recentemente le normative hanno fatto un ulteriore passo nella direzione del recupero introducendo i cosiddetti Criteri Ambientali Minimi (CAM) con l’entrata in vigore del D.M. 11 ottobre 2017. Tale Decreto, al punto 2.3.7 cita: “I progetti degli interventi di nuova costruzione, inclusi gli interventi di demolizione e ricostruzione devono prevedere un piano per il disassemblaggio e la demolizione selettiva dell’opera a fine vita che permetta il riutilizzo o il riciclo dei materiali, componenti edilizi e degli elementi prefabbricati utilizzati.” Il Decreto è ancora giovane e sicuramente necessita di qualche modifica e integrazione, nonché di un raccordo con le Norme Tecniche sulle Costruzioni attualmente in vigore (D.M. 17 gennaio 2018). Infatti, mi risulta che le Norme Tecniche trattino la costruzione di edifici nuovi oppure gli interventi sugli edifici esistenti, mentre il riutilizzo di componenti edilizi “di seconda mano” per la costruzione di edifici nuovi o per interventi su edifici esistenti non viene contemplato.
Secondo le Norme Tecniche, i materiali e prodotti per uso strutturale devono essere:
– identificati univocamente a cura del fabbricante;
– qualificati sotto la responsabilità del fabbricante;
– accettati dal Direttore dei lavori mediante acquisizione e verifica della documentazione di identificazione e qualificazione, nonché mediante eventuali prove di accettazione.
Ora mi chiedo come si possa giungere all’identificazione/qualificazione dei componenti edilizi smontati da una struttura per essere riutilizzati nella costruzione di un’altra struttura. Pongo un caso concreto che mi è stato prospettato proprio in questi giorni.
Si tratta di un capannone in acciaio zincato, realizzato vent’anni fa, costituito da dei portali sui quali appoggiano gli arcarecci. Il tutto controventato con croci di S. Andrea in falda e sulla facce laterali. I portali sono costituiti da quattro elementi bullonati tra loro così come i controventi e gli arcarecci sono tutti fissati tramite bulloni. La struttura è stata accuratamente smontata e depositata nella futura zona di edificazione. Sulla base di quanto riportato sopra, mi sorgono molti dubbi riguardo la possibilità di riutilizzo di tali componenti strutturali in quanto durante la loro produzione non sono state messe in atto le procedure di controllo obbligatorie previste dalle Norme Tecniche. Il direttore dei lavori, quindi, su quali basi potrebbe accettare la fornitura di componenti edilizi provenienti dallo smontaggio di un’altra struttura? Ritengo necessaria una ricerca documentale per reperire i progetti della struttura donatrice, eventuali prove sui materiali e certificati d’origine; sarà necessario un controllo accurato delle saldature effettuato da un laboratorio specializzato, nonché la sostituzione di tutti i bulloni. Ma fatto ciò, a rigor di norma, si può pensare di accettare la fornitura degli elementi strutturali usati? Inoltre, se la nuova struttura sarà soggetta a sollecitazioni diverse da quella originaria, sarà necessario il calcolo di elementi di rinforzo oppure la sostituzione di quelli sottodimensionati (in questo caso la loro produzione dovrà sicuramente seguire quanto previsto dalle Norme Tecniche).
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